La calce di Sellano

3 settembre 2022 – Luigi Campi – Si chiamano “castelli di poggio” quelle costruzioni difensive che i signorotti medievali costruivano sulla sommità di una collina aperta. Sellano è uno di questi castelli. Una ricchezza del luogo era costituita dalla montagna, dalla quale si traeva legna per farne carbone, attività, quest’ultima, che teneva molto occupati i carbonai, che si avvicendavano nella veglia e nel riposo, perché la carbonaia aveva bisogno di continue attenzioni. Il lavoro dei carbonai si volgeva dalla primavera fino all’autunno, mentre dall’autunno fino all’inizio dell’inverno, si cuoceva le pietre da far calce. Così si lavorava tutto l’anno. Il lavoro necessitava di molte attenzioni, soprattutto perché la fornace, detta cargara e costituita da una buca nel terreno, doveva essere sempre rifornita di legna per bruciare per tre giorni e tre notti. Per caricare la fornace, bisognava isolarla e incastrarvi grosse pietre in cerchi concentrici in modo tale da ricavare, sotto di esse, la vera e propria camera di combustione nella quale introdurre la legna da bruciare. Sopra questa specie di tetto/pavimento venivano ammucchiate le pietre calcaree che dovevano bruciare. Prima di accendere il fuoco era necessario propiziarsi Santa Eurosia, alla quale si recitava una preghiera: “Santa Eurosia, la zeppa bruci e la pietra se còcia.” In cima alla volta si metteva lu frate, una pietra in verticale che doveva indicare il livello di cottura delle pietre sottostanti. Quando diventava bianco o s’inclinava, significava che la cottura era al punto giusto. Ora si facevano cadere le pietre cotte nella buca e si bagnavano con l’acqua finché non si scioglievano: la calce era fatta. Bisognava solo spegnerla in acqua. La quantità di acqua usata dava luogo a due tipi diversi di calce. Se la calce veniva spenta completamente si otteneva una calce morbida, simile ad una crema; se invece veniva spenta con poca acqua, si otteneva una polvere farinosa.