Santa Eurosia, la zeppa bruci e la pietra se còcia

5 agosto 2022 – Luigi Campi – Uno dei bei borghi da visitare in Valnerina è Sellano, lungo la valle del torrente Vigi. Merita una visita non solo per la sua bellezza e la sua storia, ma anche per scoprire un’antica tradizione di montagna, quella dei carbonai e dei calcinai.

Sellano è uno dei tanti “castelli di poggio” quelle costruzioni difensive che i signorotti medievali costruivano sulla sommità di una collina aperta a difesa del territorio.

Lo storico Ludovico Jacobilli (1598-1664) di origine folignate, appassionato ricercatore della sua terra, fa risalire il nome e la nascita di “Sillano o Sellano, già castello, hoggi terra murata della diocesi e territorio di Spoleto” addirittura ai seguaci di Lucio Cornelio Silla, che l’avrebbero fondata nell’84 a.C..

Il castello fu ambito e conteso non solo per la sua posizione di controllo, ma anche per la fertilità del suolo per le coltivazioni, la pastorizia e il legname da taglio, anche per farne carbone. La produzione di carbone veniva fatta direttamente all’interno dei boschi: era più facile trasportare il carbone piuttosto che il legname per produrlo, perché era meno ingombrante e più leggero. Il lavoro dei carbonai si svolgeva dalla primavera all’autunno, mentre dall’autunno all’inverno, si cuoceva le pietre da far calce.

Il lavoro necessitava di molte attenzioni, soprattutto perché la fornace, detta cargara e costituita da una buca nel terreno, doveva bruciare per tre giorni e tre notti.

Prima di accendere il fuoco era necessario propiziarsi Santa Eurosia, alla quale si recitava una preghiera: “Santa Eurosia, la zeppa bruci e la pietra se còcia.”

In cima alla volta si metteva lu frate, una pietra in verticale che doveva indicare il livello di cottura delle pietre sottostanti. Quando diventava bianco, significava che anche le pietre al di sotto erano diventate bianche e la cottura era al punto giusto. Ora bisognava spegnere la calce e per fare questa operazione, si facevano cadere le pietre cotte nella buca e si bagnavano con l’acqua finché non si scioglievano: la calce era fatta. Questa operazione metteva in atto una reazione chimica che faceva sgretolare i sassi producendo calore fino a circa 300 gradi. Si otteneva così una calce viva che in edilizia però non poteva essere utilizzata. Bisognava, quindi, spegnerla in acqua.

E la quantità di acqua usata dava luogo a due tipi diversi di calce.

Se la calce veniva spenta completamente si otteneva una calce morbida, simile ad una crema, il grassello di calce o calce spenta; se invece veniva spenta con poca acqua, si otteneva una polvere farinosa, la calce idrata. Infine, se si erano cotte pietre impure, cioè con una parte di argilla, si otteneva la calce idraulica.