Nell’ambito di Todi Festival, giovedì 1 settembre alle ore 19 nell’arena di Palazzo Francisci andrà in scena lo spettacolo teatrale “Indovina chi (non) viene a cena” per la regia di Raffaella Fasoli e Costanza Pannaccia. Nato dal materiale elaborato durante i laboratori di teatro e danzamovimentoterapia che si svolgono con cadenza settimanale all’interno del Centro per la cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare “Palazzo Francisci” di Todi, lo spettacolo , ad ingresso gratuito, è un collage di brani tratti da “Biancaneve” dei Fratelli Grimm, “Il Signor Veneranda” di Carlo Manzoni, “La cantatrice calva” di Eugene Ionesco e “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, elaborati attraverso improvvisazioni guidate e testi delle stesse interpreti: 25 pazienti ospiti della residenza “Palazzo Francisci” e del Centro Diurno “Il Nido delle Rondini” di Todi.
“Dopo lo spettacolo Oltre lo Specchio, con cui nella scorsa edizione abbiamo affrontato il tema dell’immagine corporea e dell’identità, – spiega Laura Dalla Ragione, Direttore Rete Disturbi Comportamento Alimentare Usl Umbria 1 – quest’anno abbiamo voluto porre in primo piano il problema del cibo e della tavola, altro elemento cruciale che costella l’immaginario sui Disturbi del Comportamento Alimentare”. Ad essere esplorato non è tanto l’aspetto materiale legato al mangiare (o al rifiutarsi di mangiare); piuttosto, le partecipanti si interrogano in scena (e interrogano lo spettatore) su ciò che avviene (o ciò che avverrebbe) se un giorno, in seguito a un incantesimo, dei personaggi perdessero la propria capacità di mangiare e di sedersi a tavola, o quella naturalezza nel darlo per scontato. Situazioni disparate si alternano e si sviluppano attorno a questa premessa ‘assurda’ dipanando, attraverso scenari legato al cibo e alla convivialità, il tema dell’attesa e dell’aspettativa, per giungere infine a toccare la parte più intima del conflitto.
Il lavoro teatrale può facilitare l’accesso agli stati affettivi e alla dimensione emotiva legata al corpo, nel senso che permette l’esplorazione di contenuti legati al proprio vissuto all’interno di uno spazio e di un tempo altro, quello dell’immaginazione, immedesimandosi in un ruolo e impersonando un personaggio diverso. “Per questo, – dice la dottoressa Laura Dalla Ragione – l’utilizzo delle arti espressive e performative e l’approccio a mediazione corporea sono interventi utilizzati stabilmente all’interno del Centro e possono essere considerati, assieme al lavoro psicologico e alla riabilitazione nutrizionale, parte integrante dei percorsi riabilitativi per chi soffre di anoressia e bulimia”. Uno dei tratti distintivi di queste patologie è infatti l’ossessione per il corpo, un corpo offeso e percepito come nemico, vissuto contemporaneamente come mezzo cosmetico e oggetto di rifiuto, spesso additato sul banco degli imputati come causa principale delle sofferenze che affliggono la persona. Questa ostilità verso il proprio corpo, che ha radici multiformi (non ultima il proliferare di mode estetiche e alimentari pericolose, che suggeriscono l’illusione concreta di poter esistere e resistere molto lontano dalle proprie esigenze e condizioni materiali) necessita di essere curata attraverso unprocesso complesso di risignificazione dell’esperienza vissuta, che nel percorso di cura si trova ad affiancare costantemente il parallelo lavoro di ripristino di una buona condizione fisica.
Nei laboratori a mediazione corporea, l’accento viene posto sul corpo nella relazione, intendendo con essa la modalità con cui il corpo sente il mondo, che è il punto di riferimento principale attorno al quale avviene l’organizzazione dell’affettività e quindi del rapporto con l’altro. Questo sguardo aiuta a porre l’attenzione sul corpo vissuto, sede della vita emotiva, luogo di piacere e dispiacere, donando nuovo spazio e dignità alle dimensioni oscurate dal pensiero unico e totalizzante della malattia, in cui il corpo viene ridotto prima a mero aspetto fisico, poi a oggetto anonimo e infine ad ostacolo. Si tenta quindi di sostituire l’idea di qualcosa che manca o che va corretto, modellato e riaggiustato, con l’attenzione per ciò che già esiste e ha bisogno di crescere, attraverso una pratica educativa corporea basata su una visione globale dell’essere umano e sull’importanza del simbolismo della gestualità come soddisfazione dei desideri più profondi. Ampio spazio, in questo senso viene dato alla comunicazione non verbale e alla possibilità espressive che essa include.